Un poker di capolavori del Seicento in mostra ai Musei Capitolini
I Musei Capitolini di Roma celebrano il campione della pittura del Siglo de oro spagnolo Francisco De Zurbaràn ospitando, fino al prossimo 15 maggio, il suo San Francesco che contempla un teschio, in prestito dal Saint Louis Art Museum. Definito a buon diritto il Caravaggio di Spagna, sebbene non abbia mai visto dal vivo le opere dell’artista italiano, Zurbaràn è considerato il maestro del tenebrismo, applicato in chiave mistica ed enigmatica alle figure da lui dipinte.
Il San Francesco, in origine parte di una pala d’altare conservata nella chiesa carmelitana del collegio di Sant’Alberto a Siviglia, è un’opera di dimensioni ridotte, che si sviluppa in verticale; la raffigurazione del Santo di Assisi qui proposta è fortemente spirituale. La luce e le ombre disegnano attraverso un chiaroscuro drammatico la concentrazione di Francesco, assorto nella riflessione sul tema della vita e della morte, espresso in forma simbolica dal teschio che tiene tra le mani. Il cappuccio del saio si allunga in modo quasi innaturale verso l’alto, parafrasando l’elevazione delle energie del pensiero, che si proiettano nella direzione divina in un accesso sferzante ma sapientemente costruito. Carismatico o stregone, alchimista o portavoce di Dio, l’uomo raffigurato è dotato di un’aura di fascino ieratico, un’icona della Controriforma che lascia però aperti anche spiragli metafisici.
L’opera è stata posizionata, come si suol dire, in buona compagnia: si trova infatti tra due opere di Caravaggio, La Buona Ventura e Il San Giovanni Battista, e una di Diego Velàzquez, il Ritratto di Juan de Córdoba.
La scelta di allestire il San Francesco tra gli altri due colossi del Seicento deriva dalla volontà di stimolare un confronto tra le modalità pittoriche dei tre artisti, focalizzandosi sull’uso e la resa della luce nei loro dipinti. Se il chiaroscuro in Caravaggio è scenografia e struttura della profondità dello spazio, in Zurbaràn diventa formalismo nobilitante il soggetto raffigurato. Il nero dello sfondo del Battista ad esempio, sottrae alla vista, delimitando un campo non ben identificato di azione che si muove alle spalle del personaggio. Le tenebre da cui invece sembra fuoriuscire il santo dell’artista spagnolo rivelano con ancora più forza la luce e lo spessore, quasi idealizzato, del mistico, assorto nella contemplazione del dilemma più grande. La luce disegna e quasi scolpisce in Caravaggio, precursore dell’illuminazione cinematografica che si focalizza sul soggetto pregnante lasciando in ombra ciò che sta dietro o intorno, non perchè sia meno importante, ma perchè ancora non è stato rivelato. Il chiarore di Zurbaràn è invece lume di candela nella notte, è segno forte che delimita i contorni e i panneggi, evidenziandone i volumi, ma è anche luce di rivelazione, fiamma di spirito, presa di coscienza.
Se il San Francesco di Zurbaràn cattura l’attenzione grazie all’enigma e al mistero dell’identità ambigua del personaggio raffigurato, la franchezza dello sguardo del gentiluomo di Velazquez disarma per eccesso di sincerità. Due occhi che penetrano l’anima dell’osservatore, diventandone specchio. Pupille di brace animate da un sentimento forte, reale, quale sia non importa e non è dato saperlo, che sia dolore, stanchezza, orgoglio o passione, ciò che lo rende eterno è il suo rivelarsi con totale verità, illuminando un volto che sembra fatto di fumo, giocato sulla maestria dei toni del grigio (tutto il dipinto vale come un trattato di pittura). Un’identità mutevole che si fissa però sul cardine estremo dato da quegli occhi profondi, un uomo emblema di tutti gli uomini, una figura costruita su un nero saturo di colore che più che essere esito di una sottrazione di luce ne è invece impregnato. Qui si rivela il genio: la figura brilla per i neri, non per il biancore soffuso del volto che è solo maschera cangiante di stati d’animo, e quindi lacunoso in termini di struttura, a differenza della potente macchia nera della veste e della chioma, che hanno sostanza e vigore malgrado il loro perdersi nella densità del tono scuro.
Osservare da vicino questi quattro capolavori è un’esperienza davvero unica, perchè permette di valutare come artisti coevi diano interpretazioni personalissime e originali dell’arte del loro tempo, attraverso l’uso di tecniche e modalità espressive molto diverse che hanno però tra loro il minimo comun denominatore della scintilla del talento e del genio.
FINO AL 15 MAGGIO 2022
Musei Capitolini – Pinacoteca – Sala di Santa Petronilla
Piazza del Campidoglio, 1
Orari:
Tutti i giorni 9.30 – 19.30 (la biglietteria chiude un’ora prima)
Biglietti:
Intero non residenti €13,00 – Ridotto non residenti €11,00
Intero residenti € 12,00 – Ridotto residenti € 10,00