La Galleria Borghese celebra l’artista a più di trent’anni dall’ultima esposizione italiana a lui dedicata
C’è un bolognese in città. Nello specifico, uno dei più illustri, il pittore Guido Reni. A lui infatti è dedicata la mostra allestita nelle sale della Galleria Borghese di Roma, curata da Francesca Cappelletti e visitabile fino al prossimo 22 maggio.
Perno centrale della mostra, che presenta un corpus di 30 opere allestite all’interno della collezione permanente del museo, è il dipinto Danza campestre, commissionato al Reni proprio dal Cardinale Scipione Borghese. L’opera, che ci fa scoprire un inedito Guido Reni paessagista, è da considerarsi un tassello fondamentale per ricostruire i primi anni del suo soggiorno romano. Il dipinto fu successivamente venduto nell’Ottocento, e in seguito se ne perse traccia, per poi ricomparire, nel 2008, sul mercato antiquario, identificato come un anonimo bolognese. Dopo opportune valutazioni l’opera è stata riconosciuta come l’originale del Reni ed è quindi stata riacquistata dal museo.
Il percorso di mostra
L’inizio del percorso espositivo, allestito nel salone d’ingresso, comprende 4 monumentali pale d’altare (la Crocifissione di San Pietro, la Trinità con la Madonna di Loreto e il committente cardinale Antonio Maria Gallo, il Martirio di Santa Caterina d’Alessandria e il Martirio di Santa Cecilia). Sono tutte opere potenti, caratterizzate da una spiccata solennità e senso del sacro, eseguite con chiari intenti celebrativi della forza d’animo e spirituale dei vari protagonisti rappresentati.
Il percorso prosegue con quella che è sicuramente l’opera più potente in mostra, la Strage degli Innocenti: un tafferuglio di madri disperate, prese per i capelli dai ciechi aguzzini mandati a uccidere i loro primogeniti per volere di Erode, spaventato dalla profezia sull’arrivo del re dei re. I volti scomposti, le grida silenziose, gli occhi sbarrati rivolti al cielo: tutto è un progressivo salire verso l’inevitavibile acme, ben evidente in primo piano nell’incarnato stagnante dei corpi dei piccoli già uccisi, terribilmente belli nella loro immobilità da putto classico privato, purtroppo, della proverbiale giocondità.
L’opera più nota di Reni resta comunque Atalanta e Ippomene (immagine di copertina), dove viene immortalato l’attimo in cui la vanità femminile della ninfa ha la meglio sulla sua abilità nella corsa e sulla sua ferma volontà di non prendere marito. Fermandosi a raccogliere da terra i pomi d’oro infatti, la ninfa dà automaticamente la vittoria nella competizione a Ippomene, che, grazie a questo stratagemma ordito da Venere riesce a vincere la gara e quindi può sposarla. I corpi dei due personaggi sono un compendio di anatomia e grazia scultorea: leggeri, scattanti, fermi nell’attimo da cui non si tornerà indietro ma ancora in movimento, sottolineato dal balenare flessuoso dei leggeri veli che li vestono.
La resa scultorea dei panneggi e delle pose torna anche nel San Paolo rimprovera San Pietro penitente e in Lot e le figlie; nella prima tela San Pietro sembra quasi richiamare una antica statua di una divinità fluviale, col volto barbuto e la posa semi sdraiata, in bilico tra il perdersi nei suoi pensieri e l’ascoltare Paolo, rappresentato qui con un bellissimo capo ricciuto, di matrice quasi ellenica.
Lot e le figlie invece ci mostra un dialogo a cui manca davvero solo la parola: un gioco di sguardi, di richiami, di gesti parlanti un alfabeto conosciuto solo dalle mani e dalle labbra semichiuse nell’ascolto pronto a rispondere. Anche i panneggi sembrano partecipare dei moti interiori dei tre protagonisti, in un gioco di pieghe nascoste che parafrasa il batitto accelerato provocato dal piano inconfessabile delle due giovani donne verso l’anziano padre.
La mostra prosegue poi al primo piano, con una serie di opere che aprono un vivace confronto sul tema del paesaggio e che ruotano come raggi intorno al sole rappresentato dalla già citata Danza Campestre, di cui ricordiamo, tra le altre il Paesaggio con la caccia al cervo di Niccolò dell’Abate, la Festa campestre di Agostino Carracci e alcuni quadri di Paul Bril che sono parte della collezione permanente della Galleria Borghese.
Il primo soggiorno romano di Guido Reni
Guido Reni venne a Roma per la prima volta agli inizi del Seicento; l’impatto della città e soprattuttto degli artisti che qui operavano fu davvero forte sul giovane pittore. Su tutti l’esempio di Caravaggio fu quello che più segnò la sua produzione; ne è esempio lampante una delle opere in mostra, il Davide con la testa di Golia, commissionatagli dal Cardinale Pietro Aldobrandini: il fondo nero di tenebra è un chiaro marchio di fabbrica caravaggesco, insieme al chiaroscuro drammatico che in Reni, però, declina in un’eleganza flemmatica, che illanguidisce il pathos bloccando in una posa quasi teatrale la brutalità del gesto mortale appena compiuto dal giovane eroe biblico.
Fino al 22 Maggio 2022
Galleria Borghese
Piazzale Cardinale Scipione Borghese, 5
Mar-Dom 09.00-19.00 (ultimo ingresso alle ore 17.45)
galleriaborghese.beniculturali.it