Violenza e seduzione nella pittura tra Cinquecento e Seicento
Immaginate di entrare in un teatro, e di assistere, da spettatori non visti, a un evento drammatico e spaventoso. Impauriti, ma al contempo affascinati, dal tragico spettacolo che vi si para davanti. E’ questa la sensazione dominante quando si visita la mostra Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta. Violenza e passione nell’arte tra Cinquecento e Seicento“ allestita nelle sale di Palazzo Barberini fino al prossimo 27 marzo.
Ideata al fine di celebrare il doppio anniversario che compie quest’anno la tela caravaggesca (i settant’anni dalla riscoperta, e i cinquanta dalla sua acquisizione da parte dello Stato Italiano), la mostra, anche grazie allo splendido allestimento immersivo, fa si che lo spettatore abbia la sensazione di trovarsi dentro la scena biblica, e di vederla svolgersi davanti ai suoi occhi, in un fil rouge senza soluzione di continuità. Semmai di stile.
INSPIRATION
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Il percorso espositivo
Sono 31 le opere nella mostra curata da Maria Cristina Terzaghi, articolate in quattro sezioni, che ruotano come raggi intorno al capolavoro del Merisi, eseguito nel 1599 per il banchiere Ottavio Costa. Nella prima, Giuditta al bivio tra Maniera e Natura, lo spettatore riceve un assaggio di come il tema inizi, nel Cinquecento, ad essere rappresentato senza filtri, ponendo l’accento sulla violenza dell’evento e sul ruolo centralissimo, a livello fisico e spirituale, dell’eroina biblica. Emblematico di questa nuova iconografia senza censure è senza dubbio l’opera di Pierfrancesco Foschi, dove il rosa cangiante dell’abito di Giuditta riesce a “vestire” di potenza femminile anche il gesto rapido e chirurgico della decapitazione di un inerme Oloferne.
Il Seicento e i massimi interpreti del tema: Caravaggio e Artemisia Gentileschi
La sala della seconda sezione, Caravaggio e i suoi primi interpreti, ci fa entrare a tutti gli effetti all’interno della scena narrata. L’allestimento circolare fa si che allo spettatore sembri di vedere l’evento prendere vita intorno a lui, secondo dopo secondo, come in una sequenza fotografica, il tutto aiutato dal fatto che la serie di quadri muta per tinte e dettagli, ma non per soggetto. Un caleidoscopio dal pathos crescente, che non culmina nell’opera finale ma in quella centrale, ossia la Giuditta che decapita Oloferne di Caravaggio. Il modo in cui il pittore decise di rappresentare il tema segnò uno spartiacque con tutta la precedente produzione. Un fermo immagine cinematografico, l’inesorabile immobilità della morte che avanza, il drappo di velluto che disvela l’annaspare della vittima tra le lenzuola, la bellezza delicata e micidiale della giovane armata della fede in Dio e la curiosità morbosa della fantesca. Quest’ultima sembra un essere senza sesso, che più che una persona incarna la curiosità nel suo lato più oscuro, torbida al punto da mettere da parte la morale a favore di un sorso di innominabile, di inguardabile.
Anche se si racconta che il Costa fosse gelosissimo di questa tela e non permettesse a nessuno di vederla, le opere esposte testimoniano che qualcuno riuscì almeno a darle…una sbirciatina. Basti guardare la prova di Filippo Vitale, che su più punti ricorda l’esempio del Merisi: il formato orizzontale che incornicia la reazione terribile del generale colto nel sonno, la bocca deformata da un grido muto che si perde nel vermiglio del tendaggio, il nero più nero che diventa tunnel che sembra inghiottire, o sputarne fuori il corpo.
Ma è femminile la mano che è riuscita maggiormente ad avvicinarsi al Caravaggio; parliamo di Artemisia Gentileschi, cui è intitolata la terza sezione: Artemisia Gentileschi e il teatro di Giuditta. E’ lei, insieme al padre Orazio, a dare la versione pittorica più emozionate, la più sentita. Lei, che fu vittima di una violenza mai condannata da parte del pittore Agostino Tassi, si cala nelle vesti dell’exemplum virtutis femminile, coniugando nelle sue interpretazioni talento e vendetta, immedesimandosi nell’eroina che punisce il tiranno, in un’ipnosi dal sapore psicoanalitico che precede di tre secoli quella che potremmo definire un reinterpretazione del trauma a scopo terapeutico.
Chiude il percorso la sezione Giuditta. Giuditta e Davide, Giuditta e Salomé, che mette a confronto i due campioni della virtù cristiana, Giuditta e David, quest’ultimo capace di uccidere il gigante Golia con un colpo di fionda; entrambi simbolo della potenza divina che agisce per mano dell’uomo o della donna prescelti. A loro viene affiancata l’iconografia di Salomè, responsabile in via trasversale del martirio del San Giovanni Battista, a confermare nuovamente che è la seduzione, a volte, l’arma più tagliente.
Fino al 27 Marzo 2022
Gallerie Nazionali di Arte Antica – Palazzo Barberini
Via delle Quattro Fontane, 13
Mar- Dom 10-18 (Ultimo ingresso alle ore 17.00)
Solo mostra: Intero 7€ – Ridotto 2€ (ragazzi dai 18 ai 25 anni)
Mostra e museo: Intero 15€ – Ridotto 4€ (ragazzi dai 18 ai 25 anni)
Solo museo: Intero 12 € – Ridotto 2 € (ragazzi dai 18 ai 25 anni).